Spesso, quando si parla di volontà, automaticamente le persone si prefigurano quest’attitudine accompagnata da un grande sforzo. In effetti la volontà, per essere messa in atto, necessita di una spinta iniziale di un certo livello e per mantenerla nel tempo è necessario che questa spinta abbia una certa costanza.
IL PUNTO CRUCIALE È CHE LA SPINTA CHE SOTIENE LA GENTILE VOLONTÀ SIA COMPIUTA SENZA UN ECCESSIVO SFORZO
Il dizionario Treccani definisce sforzo un impegno di forze fisiche e psichiche che superi per entità o durata i limiti di una normale attività. Poniamo attenzione sul significato di limite che sempre la Treccani definisce come confine ideale, livello massimo, al disopra o al disotto del quale si verifica normalmente un determinato fenomeno. La gentile volontà che intendiamo noi e che si intende nelle pratiche svolte all’interno dell’Associazione Dharma Gioioso come i Makko Ho o come nel percorso di rigenerazione e liberazione interiore Vita Gioiosa, è
UN ATTO DI VOLONTÀ CHE NON SUPERI AGGRESSIVAMENTE I LIMITI DI CAPACITÀ PSICOFISICHE DEI PRATICANTI
in poche parole rimanere all’interno del confine ideale.
LA VOLONTÀ NON VIOLENTA
Per aiutarci a comprendere meglio cosa intendiamo per gentile volontà, analizziamo cosa significa volontà non violenta e per fare ciò partiamo dal concetto di:
AHIMSA: LA NON VIOLENZA
Ahimsa è un precetto cardine di tutti gli Yogi, poiché diviene uno strumento necessario per coltivare l’Amore Incondizionato verso di Sé, verso tutti e tutto. I praticanti di discipline volte al miglioramento e all’accrescimento di tutte le facoltà corporali, mentali, emozionali e spirituali, necessariamente dovrebbero mettere in pratica il concetto di Ahimsa, a partire da loro stessi verso l’approccio a tutte le pratiche e azioni quotidiane che si trovano a svolgere, in modo da
EVITARE DI CREARE TENSIONI PSICOFISICHE ED EMOZIONALI
Un esempio pratico di questo lo troviamo nello svolgimento delle posture Makko Ho, dove si pone l’accento con notevole enfasi a non superare bruscamente, quindi violentemente, le capacità di allungamento delle fasce muscolari, poiché un atteggiamento del genere non è assolutamente efficace per il miglioramento delle capacità di quel determinato muscolo. Se il muscolo allungato viene eccessivamente messo sotto stress, superando le sue capacità di rilassamento e di contrazione, può andare incontro a contratture, crampi, ecc. ottenendo l’effetto contrario sul muscolo stesso ma anche sulla motivazione psicologica, perché si sperimenterebbero sensazioni sgradevoli che demotiverebbero il neopraticante il quale, con molte probabilità, nel giro di poco tempo potrebbe abbandonare la pratica, rinunciando ai notevoli benefici apportati dal Makko Ho.
Se la pratica viene svolta con gentilezza e non violenza, vale a dire senza superare eccessivamente le capacità fisiologiche di un determinato muscolo o di una serie di muscoli, il miglioramento della capacità è assicurato perché, portare in estensione la muscolatura assecondando i suoi limiti con gentilezza, arrivando alla soglia di sopportazione senza superarla con aggressività ma gentilmente lasciandosi andare, quella fascia muscolare inevitabilmente risponde, come reazione neurofisiologica, diminuendo la tensione ed aumentando la sua capacità di rilassamento ed estensione, restituendo sensazioni gradevoli e di benessere al praticante, che rinforzano i benefici fisici e la motivazione nel praticarli.
Un altro esempio pratico lo troviamo nello svolgimento della meditazione sul mantra Hong So praticato nel Kriya Yoga e in Vita Gioiosa. La tecnica dell’Hong So si basa sul portare l’attenzione al proprio respiro spontaneo, con una gentile volontà e in simultanea pronunciando durante l’inalazione la sillaba Hong e durante l’esalazione la sillaba So. Se questa pratica viene svolta con eccessivo sforzo è possibile sperimentare sensazioni sgradevoli come vertigini oppure il male alla testa. L’approccio invece che si basa sull’utilizzo di un atteggiamento gentile permette, attraverso di esso, di godere dell’effetto dei benefici della tecnica dell’Hong So, così come accade alla muscolatura durante la pratica Makko Ho con lo stesso tipo di atteggiamento, ovvero la gentile volontà.
QUANDO UN NEONATO PIANGE
Il linguaggio primario dei neonati è il pianto. Quando piangono cercano attenzione per soddisfare un loro bisogno. Mettiamoci per un momento nei loro panni: non abbiamo capacità di camminare, di spostarci, di parlare, siamo completamente nelle mani della mamma e del papà e per interagire con loro possiamo solo piangere o strillare. Ecco, se ad una nostra richiesta la risposta che riceviamo è un atteggiamento non comprensivo, che si esplica con l’indifferenza, saremmo soggetti a emozioni negative e frustrazioni e continueremmo a strillare fino ad esaurimento delle forze. Se invece i genitori si approcciano con amorevole comprensione ed affetto alla richiesta del neonato, la risposta del bambino sarà inevitabilmente il calmarsi.
La gentile volontà è proprio questa, l’approcciarsi ad un azione come farebbe un genitore amorevole con il proprio neonato, ovvero esprimere attenzione alle necessità dell’infante attraverso un atto di volontà, una volontà non violenta ma dettata dal cuore. Un atteggiamento che non stressa eccessivamente le capacità psicofisiche ed emozionali, un atteggiamento fermo e al contempo rilassato, con il quale è possibile mantenere costante nel tempo la volontà senza creare tensione, rimanendo in uno stato di confortevole efficacia.
Perciò non resta altro che sviluppare una gentile volontà in tutto ciò che si fa.